SMARTART N. 33 – LO STILE ROMANICO NELL’ARAZZO DI BAYEUX E NELLA PITTURA TOSCANA DEL XII E XIII SECOLO
Buongiorno a tutti. L’arazzo di Bayeux, è un tessuto ricamato dell’XI secolo nel quale è illustrato un evento storico destinato a cambiare il futuro dell’Inghilterra e dell’Europa. Ci racconta per immagini, la storia di un particolare episodio, l’invasione dell’Inghilterra da parte dei normanni di Guglielmo il conquistatore, culminata con la battaglia di Hastings nel 1066, la vittoria normanna e di conseguenza la fine del dominio anglo-sassone dell’isola e l’inizio di quello anglo-normanno.
La battaglia di Hastings rappresenta l’ultima invasione da parte di un esercito nemico in suolo inglese. Per la cronaca, Guglielmo il conquistatore, duca di Normandia in terra francese, divenne re d’Inghilterra, ponendo di conseguenza le basi ad un inghippo che per secoli ha tenuto in imbarazzo la corona inglese e fu causa di ostilità tra i regni di Francia ed Inghilterra. Essendo Guglielmo duca di Francia, quindi vassallo del re di Francia, divenuto re d’Inghilterra, ne consegue che, da quel momento, la corona d’Inghilterra e’ vassalla della corona di Francia. Tale stato di cose e’ perdurato fino al 1904, quando con un accordo amichevole l’intesa e’ stata raggiunta e le cose tra le due nazioni si sono sistemate.
Chiusa la parentesi storica che non e’ pertinenza di questa rubrica, l’arazzo della lunghezza di circa 70 metri ed alto 50 centimetri, ricamato intorno al 1080, rappresenta un meraviglioso esempio di arte romanica. In qualche modo è assimilabile alla colonna Traiana di epoca romana, in quanto riporta la cronaca degli avvenimenti ed i preparativi riguardanti l’invasione ed anche i momenti culminanti della battaglia di Hastings, tant’è che gli storici hanno tratto da quest’opera d’arte, incredibili fonti di conoscenza riguardanti vari aspetti di vita non solo militare dell’epoca. L’apparente semplicità delle raffigurazioni, rappresenta la tipica espressione artistica medievale, in cui la necessità di comunicazione in forma diretta ed immediata è prevalente, di conseguenza qualsiasi altro aspetto, anche quello artistico, e’ subordinato a questa esigenza. Ricordiamoci sempre che all’epoca, nel medioevo, l’arte era l’unica forma di comunicazione ed informazione possibile oltre a quella verbale. Non esistevano giornali, rarissimi quasi inesistenti erano i libri, per poter ricordare avvenimenti, per farli conoscere e per diffonderli l’arte diventava essenziale. L’arazzo, che ripeto, può essere preso come elemento di sintesi e riassuntivo dell’espressione figurativa romanica, visto con gli occhi di oggi, può ricordare un fumetto, non suddiviso in vignette, ma viceversa, in un susseguirsi di immagini in cui le scene si dispongono l’una accanto all’altra senza interruzioni o divisioni. Non esiste profondità, prospettiva, chiaro-scuro, tutto è espresso solo in due dimensioni, perfino Guglielmo o re Aroldo sono raffigurati in maniera simbolica, pochissimi elementi caratteristici contraddistinguono le loro immagini. Non interessava creare immagini realistiche, interessava esclusivamente descrivere un avvenimento nella maniera più semplice in modo che chiunque fosse in grado di comprendere i fatti narrati, per cui, la forma simbolica ed espressiva, spogliata di ogni elemento di verosimiglianza, risulta essere la più efficace.
Ci rendiamo conto, anche da queste poche righe, nonchè dalla visione delle immagini relativi all’arazzo, quanta analogia ci sia e quanto poco siano cambiate le immagini rispetto al simbolismo dell’alto medioevo, o addirittura rispetto a all’arte minoica o egizia. Quanto invece sia distante rispetto al mondo classico greco e romano.
Naturalmente l’arte medievale, ha avuto la massima espressione nelle raffigurazioni religiose; ne abbiamo largamente parlato, lo stile bizantino e’ stato dominante, accompagnato da un forte carattere simbolico, soprattutto nella rappresentazioni di mosaici ed affreschi in cui la narrazione a scopo divulgativo è rimasto preminente. Ma in toscana, a partire dal XII secolo, la pittura eseguita a tempera su tavola, iniziava ad avere grande diffusione, si trattava di una novità, in quanto fino a quel momento era rappresentata soprattutto attraverso mosaici ed affreschi di grandi dimensioni e, insieme alla scultura, erano elementi costitutivi che si fondevano ed integravano all’architettura delle chiese. Si ha notizia di tempera su tavola anche in epoche antiche fin dall’epoca della Grecia classica, ma nessuna opera e’ giunta fino a noi. Invece, molte opere toscane del XII secolo ci sono arrivate e vorrei parlarvi soprattutto di alcune di queste opere, tipiche del romanico, che possiamo vedere affisse nelle chiese dell’Italia centrale, sto parlando delle crocifissioni. Il primo crocifisso dipinto su tavola che conosciamo, è firmato da un maestro lucchese di nome Guglielmo ed e’ datato 1138, attualmente è conservato nel museo di Sarzana. E’ un crocifisso, che, secondo un’abitudine che proseguirà ancora per molto tempo, reca allegate alla croce diverse scene della vita di Gesù, ed immagini di santi. La figura del Cristo e’ raffigurata viva ed impassibile, con gli occhi ben aperti ed in posizione assolutamente inverosimile rispetto al martirio. E’ il simbolo del “Christus triumphans” già in uso in epoca carolingia, trionfatore della morte. Questa immagine fungerà da capostipite per una lunga serie di croci in cui viene adottata questa iconografia del Cristo vivo. La prima rappresentazione di un Cristo morto in una crocifissione, risale al XIII secolo, in una pergamena dipinta ed applicata su tavola, ora conservata al museo di Pisa. Come possiamo vedere si tratta di una pittura che deve molto a quella di Guglielmo ed in questa, come in quella precedente notiamo una curiosa schematizzazione dei muscoli addominali. La posa appare sempre eccessivamente rilassata rispetto alla gravità del martirio subito. L’influsso bizantino risulta evidente, come del resto anche in quella di Guglielmo.
Con Giunta Pisano abbiamo una variante a questo genere iconografico, la figura del Cristo morto presenta una inclinazione verso un lato della croce, quasi un sussulto, la curiosa stilizzazione dei muscoli addominali viene accentuata, mentre spariscono le storielle bibliche nella croce; rimangono solo le immagini di santi ai lati delle braccia del Cristo. Anche in questo caso la postura appare del tutto innaturale. Ma questa posa innaturale, come anche nelle precedenti versioni che abbiamo sinteticamente analizzato, non dipende da incapacità tecnica dell’artista, ma da un concetto che vuole arrivare come messaggio e dirci che la figura crocifissa del Cristo continua a vivere anche dopo il martirio subito. Questo tipo di raffigurazione caratterizzerà tutta l’iconografia di questo genere per tutto il XIII secolo e parte del successivo. Quello che ho postato e’ visibile nella chiesa di San Domenico a Bologna.
Figura conclusiva non solo della pittura fiorentina del duecento prima dell’apparizione di Giotto, ma anzi di tutto il cosiddetto bizantinismo italiano, e’ Cenni di Pepo, detto Cimabue, un artista di altissimo livello, la tradizione vuole che sia stato maestro di Giotto. La caratteristica che lo contraddistingue maggiormente, è data dalla rappresentazione delle figure dipinte le quali rispetto alle tipiche immagini bidimensionali di tutto il medioevo, acquisiscono maggior volume e corpo, iniziando un percorso che sarà successivamente sviluppato da Giotto. Purtroppo la sua splendida crocifissione di cui posto l’immagine, e’ andato quasi totalmente distrutta nell’alluvione di Firenze del 1966, l’immagine si riferisce ad una fotografia scattata in data precedente. Vediamo come l’impostazione sia quella tipica di Giunta Pisano, ma con un segno decisamente più morbido ed una grazia espressiva di qualità superiore. Anche il panneggio avvolto alla vita di Cristo e’ rappresentato in maniera mirabile. Per la prima volta scompare in queste immagini la fastidiosa (per me) rappresentazione stilizzata della muscolatura addominale. Altra caratteristica che rimarrà ancora per parecchio tempo, sono i piedi divaricati del Cristo, forse per una elaborazione equilibrata che seguisse l’andamento della croce nella parte bassa. Col tempo, con lo scomparire della rappresentazione di questo tipo di croce, anche la posizione dei piedi nelle crocifissioni di epoche successive, saranno uniti. Artisti di questo periodo che vale la pena di menzionare, che non hanno dipinto crocifissioni e quindi non ho preso in considerazione in questa disamina, sono il romano Pietro Cavallini, che dipinse parte della basilica di San Francesco ad Assisi ed il senese Duccio da Buoninsegna, entrambi massimi esponenti della rappresentazione neo-bizantina portata ai livelli di massimo splendore.
Un caro saluto a tutti, Alfredo.