Gli artisti, con la scoperta della prospettiva e con l’esigenza di una rappresentazione realistica, ai primi del Quattrocento, si trovarono a dover risolvere alcuni problemi. Innanzitutto si accorsero che la figura umana inserita in un paesaggio o in un ambiente, tendeva a non risaltare come in precedenza, a perdersi in un mare di dettagli, come succedeva nella pittura fiamminga, oppure, volendola evidenziare con contorni o colori più marcati, finiva per apparire poco naturale, dura, priva di quella leggerezza tipica della pittura medievale. Sembrava appoggiata allo sfondo più che integrata con lo sfondo, come in un moderno fotomontaggio. Oltretutto, altro problema da risolvere, tutta l’opera perdeva equilibrio, in quanto, dovendo rispettare la realtà, non era piu’ possibile aggiungere fronzoli o decorazioni che abbellivano ed equilibravano il lavoro. Nel passato i fondi oro o comunque monocromi, all’interno dei quali si stagliavano le figure in maniera netta, esaltavano l’immagine. Un po’ come facevano, o forse fanno ancora i fotografi con le foto di ritratti in bianco e nero, eseguiti nello studio fotografico davanti a teli monocromi. Artisti quali Piero della Francesca, Antonello da Messina, Botticelli, non si distaccarono mai del tutto dallo stile gotico, anche perché, forse, non sapevano come risolvere questo problema. Ricorrevano quindi a stratagemmi, come ad esempio utilizzando l’azzurro del cielo come sfondo, nel quale si stagliava l’immagine di Cristo o di San Sebastiano, oppure il fondo monocromo di una parete come nell’Annunciazione di Beato Angelico. Lo stesso farà Leonardo, in uno dei suoi primi dipinti, nell’Annunciazione del 1473: il volto e il busto dell’angelo si stagliano con un effetto controluce rispetto alla vegetazione alle sue spalle, mentre Maria si staglia nella parete scura. Qualcosa di simile l’aveva gia’ fatto Piero della Francesca appena due o tre anni prima, ed e’ possibile che Leonardo ne sia rimasto influenzato. Vediamo però, come il braccio di Maria, tenda invece a confondersi con il piano sul quale e’ appoggiato e la luce risulti non naturale, come se provenisse da fonte artificiale, opposta a quella naturale che si vede nello sfondo. Anche le figure risultano ancora poco inserite nel paesaggio, non amalgamate con esso. Nella Vergine delle rocce, (di cui esistono due versioni, poichè il primo dipinto non fu accettato dalla Chiesa in quanto troppo realistico e poco simbolico) di 10 anni successivo, vediamo già come Leonardo stia cercando di trovare la soluzione del problema mediante l’utilizzo del suo famoso sfumato. Le figure tendono a fondersi in maniera naturale nel paesaggio, non sono piu’ dure e non appaiono più estranee allo sfondo, ma perfettamente integrate con esso, grazie a quell’avvolgimento luminoso ed atmosferico che Leonardo e’ riuscito a creare. Leonardo però non e’ ancora completamente soddisfatto; la luce risulta essere ancora troppo incidente, come proveniente da fonte artificiale rispetto a quella naturale, inoltre risalta l’incarnato, ma non il resto del corpo che tende ancora a confondersi troppo con la natura. ha comunque raggiunto un grande risultato, grazie all’utilizzo dello sfumato ed alla conseguente rinuncia dei contorni marcati, l’immagine risulta armoniosa e si integra perfettamente con il resto del dipinto. L’ultimo passaggio e la risoluzione definitiva del problema Leonardo lo trova con la Gioconda 20 anni dopo, nel 1503/4. In questo dipinto tutto e’ perfettamente armonioso, calibrato ed equilibrato, la luce e’ perfettamente naturale e la figura si integra perfettamente nel paesaggio retrostante, ma nello stesso tempo si staglia, senza apparire innaturale. Tutto ciò, oltre all’utilizzo dello sfumato, grazie alla prospettiva aerea. Di cosa si tratta? Si tratta di applicare in pittura qualcosa che nessuno prima di lui aveva scoperto. Nei suoi studi, Leonardo, si era occupato di ottica ed aveva scoperto che l’occhio umano tende a mettere a fuoco gli oggetti in primo piano ed a sfuocare quelli distanti. Contemporaneamente l’effetto atmosferico tende a schiarire gradatamente i colori degli oggetti in lontananza, risultando sempre più evanescenti, liquidi, avvolti sempre di più dall’atmosfera, “l’aria grossa”, come lui la chiamava. Questa percezione della lontananza viene chiamata prospettiva aerea e, combinata alla prospettiva lineare, tende a fare emergere le figure in primo piano in maniera delicata ed armoniosa rispetto al paesaggio retrostante, inoltre, lo sfumarsi gradatamente dei dettagli fino a diventare evanescenti, dona fascino, mistero e poesia senza nulla togliere alla rappresentazione realistica, anzi, al contrario, la esalta. Tutte queste soluzioni ed innovazioni stilistiche, Leonardo non le apprese studiando gli antichi, come, invece, era consuetudine, ma osservando la natura e sperimentando. Questo fu uno dei motivi, non l’unico, di distacco dalla cerchia neoplatonica della corte fiorentina di Lorenzo il Magnifico. Pur nella grande lungimiranza e nell’apertura mentale, Lorenzo e la sua cerchia, rimanevano ancorati ad una mentalità, una cultura ed un pensiero quattrocenteschi, Leonardo andava decisamente oltre, oltre lo stesso Cinquecento, già verso una forma di pensiero proiettata verso un razionalismo che in Cartesio prima e negli Illuministi poi sarà all’origine del nostro modo di pensare contemporaneo. Nel prossimo appuntamento, concluderemo il capitolo Leonardo, indagando altri aspetti, sempre in ambito artistico, di questo personaggio unico che ha influenzato una schiera infinita di artisti nei secoli successivi.